L'esperienza di Noemi in Malawi

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Tramite “zeropiù medicina per lo sviluppo”, una associazione di medici e infermieri operanti nell’area pediatrica nei paesi in via di sviluppo, Noemi ha trascorso 2 settimane in Malawi a sostegno del progetto BAMABA’ (Balaka Malawi Basket School), una scuola di basket dedicata alla popolazione giovanile dell’area di Balaka, realizzata dall’associazione nel 2012. zeropiù ha anche finanziato la costruzione di un campo di gioco, dotato delle strutture tecniche di base.

La Virtus voluto dare il suo piccolo contributo donando magliette e palloni da gioco.


Il racconto di Noemi:

 “Il 2 maggio 2014 sono partita, per la seconda, verso una meta che ha rappresentato una delle esperienze più belle della mia vita: l’Africa. Insieme a me c’era Alessandro, un ragazzo di Siena che è partito con me, ma si è fermato giù altre due settimane. Dopo un viaggio interminabile, quasi 12 ore di volo e due scali (a Roma e successivamente in Etiopia), arriviamo a Blantyre, in Malawi. All’aeroporto ci aspettano Francisco, un signore del posto, ed il dottor Guido Calciolari, tramite il quale siamo partiti per questa esperienza. Durante il tragitto continuo a pensare a come sarà rivedere tutti quanti e, ancora prima di realizzare di essere arrivata, mi trovo davanti alla loro solita accoglienza africana: canti, balli e questa volta anche un cartello di “welcome back Noemi”. La cosa in assoluto più bella è stata rivedere Cristina, la bambina a cui mi ero affezionata parecchio la prima volta che ero andata in Malawi, che mi è subito corsa incontro appena mi ha vista.

Il campus che ci ha  ospitati nelle settimane di permanenza è l’Andiamo Educational Institution (AEI) di Balaka, che si occupa delle attività di istruzione e formazione, gestisce 4 asili, la scuola secondaria e diversi corsi di formazione professionale. La scuola secondaria ospita attualmente 150 studenti. Le lezioni di formazione professionale si svolgono all’interno del Technological Pole e comprendono corsi di informatica, meccanica, falegnameria e carpenteria. All’interno del campus si trovano due ostelli, uno per ragazze e uno per ragazzi,  per consentire agli studenti provenienti dai villaggi di frequentare le lezioni. Subito salutiamo Alessandro Marchetti, direttore del campus e ormai nostro amico, che vive da quasi dieci anni a Balaka. Successivamente Andreina, Cristina e Patricya, le tre cuoche del campus, ci accompagnano nella nostre camere dove, sulla porta, un cartello in lingua chichewa, la lingua locale, ci dà il benvenuto. Le nostre camere si trovano in una struttura, situata anch’essa all’interno del campus, che ospita i volontari che, come noi, arrivano durante l’anno per dare una mano. In questa struttura vivono Padre Mario e Padre Cesare, missionari bergamaschi che vivono in Malawi ormai da più di trent’anni. La comunità fa molto affidamento su di loro, che sono visti come due vere e proprie guide spirituali a cui rivolgersi per qualsiasi cosa.


Con loro c’è anche Agostino, anche lui bergamasco, che vive in Malawi da dieci anni, in seguito alla morte del figlio e successivamente della moglie. “L’Africa mi ha fatto tornare a vivere di nuovo e dieci anni fa ho deciso di trasferirmi definitivamente”, mi ha detto Agostino la prima volta che l’ho conosciuto. Qui a Balaka si prende cura di alcuni asili della zona e aiuta le famiglie particolarmente bisognose. Per quanto riguarda me e Alessandro, il nostro “lavoro” è di organizzare allenamenti di basket che teniamo con tutte le classi della scuola, dalle più piccole alle più grandi nel campo da basket del campus, finanziato da diverse associazione e che permette ai bambini e ragazzi del posto di avere anche dei momenti di svago e divertimento. Il sabato e la domenica organizziamo piccoli tornei, seguiti da premiazioni, grazie anche all’aiuto di Agogo, studente e allenatore di basket. Il nostro primo giorno è stato, più che altro, una serie di saluti alle persone che già avevamo conosciuto la prima volta. Dal giorno successivo, invece, è iniziata quella che sarebbe stata la nostra routine fino al giorno della partenza. Al mattino la sveglia suonava alle sei, perché il sole sorgeva presto, verso le 4.30 e tramontava altrettanto presto, verso le 17.30. Dopo aver fatto colazione tutti insieme io e Alessandro facevamo una passeggiata fuori dal campus e organizzavamo gli allenamenti. Solitamente le lezioni di basket duravano, il mattino, dalle 8.00 alle 12.00 e il pomeriggio dalle 15.30 alle 17.30, dopo la fine delle lezioni scolastiche. Alla fine di ogni allenamento proponevamo alcuni giochi ed ai vincitori spettavano delle magliette che  erano state messe in palio come premio.
Inoltre, più o meno mezz’ora prima della fine degli allenamenti, il campo di basket era circondato dai numerosissimi bambini  che tornavano dall’asilo e, per accontentarli, organizzavamo dei giochi anche per loro.

Quando diventava ormai buio e l’allenamento era terminato, tornavamo nelle nostra camera, i ragazzi nei loro ostelli e i bambini a casa. Così erano organizzate le nostre giornate, a parte qualche attività (per esempio vedere qualche film la sera con i ragazzi della scuola) o “escursione” che siamo riusciti ad inserire nel tempo libero. Una mattina, infatti, abbiamo deciso di svegliarci ancora prima del solito per andare con l’autista del pulmino a prendere i bambini da accompagnare all’asilo. Ne abbiamo viste di ogni: chi era felice di andare, chi scappava dalle proprie mamme perchè non voleva salire sul pulmino, chi piangeva per rimanere a casa...

Un altro giorno siamo andate in uno degli asili di Agostino, durante la pausa pranzo, e abbiamo aiutato le cuoche a distribuire il cibo. E’ stato fantastico vedere più di trecento bambini in una stanza enorme che ti fissavano con i loro occhietti di quel marrone profondo, che sembrava dovessero dirti qualcosa. Credo proprio che non dimenticherò mai quegli sguardi, inizialmente tristi, trasformarsi in gioia alla vista di una caramella, di una palla, o anche solo di un semplicissimo sorriso o un abbraccio.


Un giorno siamo andati a fare un’escursione in barca sul lago Malawi e un altro giorno sull’altopiano di  Zomba, sul quale si può andare a fare una passeggiata e vedere delle piccole cascate.

E dopo due settimane intense di allenamenti e tornei, oltre che di emozioni forti, era arrivato il momento di tornare a casa. L’ultima sera ci hanno organizzato una cena per ringraziarci e salutarci per quelle settimane trascorse insieme. Ovviamente non sono mancate le lacrime, infatti ho deciso di salutare tutti quella stessa sera, altrimenti il giorno dopo non sarei più ripartita. Il mio saluto è solamente stato un arrivederci a presto, e durante il viaggio di ritorno pensavo a quando sarei tornata da loro la prossima volta.

Come in un flash mi sono passati per la mente tutti i ricordi di queste fantastiche settimane: la gente del posto, i bambini con i loro sorrisi, le innumerevoli volte in cui mi hanno ringraziato, le emozioni che mi hanno fatto provare, le vecchie e nuove amicizie che sono nate, ed infine gli occhi di Cristina e Matteo, colmi di lacrime (del resto, esattamente come i nostri) che, dopo averci abbracciato e salutato, ci osservavano allontanarci piano piano da loro. Durante il lungo viaggio di ritorno ripensavo continuamente ai bei momenti che ho trascorso in Malawi, alle emozioni che questo viaggio mi ha lasciato, alla realtà (completamente diversa dalla nostra) che ho imparato a conoscere, all’insegnamento che questa esperienza mi ha lasciato e alle persone fantastiche che ho conosciuto e alle quali ho promesso di ritornare di nuovo. Personalmente penso che questo e lo scorso  viaggio mi abbiano aperto un nuovo mondo, da affrontare con un nuovo modo di pensare e una nuova realtà a me prima sconosciuta. Penso che ognuno di noi, prima o poi nella vita, debba affrontare un’esperienza del genere, perché ti cambia realmente la vita. Inoltre, vorrei aggiungere un’ultima cosa: spesso abbiamo sentito parlare di mal d’Africa, riferito alla sensazione di nostalgia di chi ha visitato l'Africa e desidera tornarci, ed io, dopo aver visitato quel meraviglioso continente posso dire che è realmente così. E' una malattia senza guarigione, è una cosa difficile da spiegare ai "non malati". E’ un qualcosa di inspiegabilmente forte che ti rimane dentro e che non puoi mandare via. E  proprio per questo auguro a tutti, prima o poi nella vita, di “ammalarsi” di mal d’Africa. “